Negli orologi meccanici, le componenti dello scappamento si occupano di tradurre l’oscillazione della massa nella rotazione di una ruota dentata, permettendo di fatto di misurare il tempo.

A cosa serve lo scappamento

In un orologio meccanico contemporaneo, la riserva d’energia a nostra disposizione è solitamente la molla di carica. È infatti la molla di carica che permette la rotazione degli ingranaggi.
Se portiamo a tensione completa la molla e la liberiamo, questa si allenterà istantaneamente, rilasciando tutta l’energia in un momento solo. Quello che serve è allora un sistema che detti il ritmo alla molla di carica, decidendo quando rilasciare energia e per quale lasso di tempo. Nei movimenti meccanici degli orologi si parla di oscillazioni del bilanciere.

Questo tipo di problema ce lo si era già posti molto tempo prima rispetto all’invenzione della molla di carica.

Antichi sistemi di scappamento

Nell’Antica Roma e nell’Antica Grecia vennero sviluppate clessidre avanzate, dotate di un sistema di scappamento per migliorarne la precisione. In parallelo, anche in Cina venivano sviluppati progetti analoghi. Il più antico scappamento di cui si abbia una testimonianza lo si trova però nel trattato Pneumatica di Filone di Bisanzio, ingegnere e scrittore. Questo documento risale circa al 250 A.C. e descrive lo scappamento inerentemente ad un sistema di fornitura d’acqua per un mobile da bagno:

Ad un cucchiaio dotato di contrappeso viene fornita acqua tramite un serbatoio, per poi svuotarsi in una vasca una volta riempito. Quando il cucchiaio si ribalta per svuotarsi, allenta anche la tensione su dei lacci che tengono in posizione una sfera di pomice, che si occupa di occludere il passaggio di acqua. Essendosi svuotato il cucchiaio, il contrappeso lo fa tornare nella posizione iniziale, riportando a sua volta in posizione di chiusura la pietra pomice.

Filone aggiunge inoltre che questo sistema è simile a quello delle clessidre, lasciando così intuire che esistessero già all’epoca clessidre con scappamento.

Scappamento a corona e verghe con bilanciere a foliot

illustrazione bricksandbrass.co.uk
illustrazione bricksandbrass.co.uk

Sulle torri delle città italiane del Rinascimento, a partire dalla fine del 1200, venivano realizzati grossi orologi meccanici, con bilanciere a foliot (una barra oscillante dotata di due masse alle estremità) regolata tramite scappamento a corona e verghe. Questo tipo di scappamento si affermò come standard per più di 300 anni, ma nonostante i tentativi di perfezionamento continuò a portarsi dietro un problema: il periodo di oscillazione dipendeva dalla quantità di energia e dalla quantità di inerzia, per cui era difficile ottenere una regolazione precisa.

In questo sistema, il foliot regola il movimento di 2 palette che si trovano in posizione opposta fra loro: una in corrispondenza della parte alta della ruota a corona e una in corrispondenza della parte bassa. Queste palette si inseriscono in modo alternato tra i denti della corona, bloccandone la rotazione e ricevendo una spinta che le fa tornare nella posizione di partenza. In pratica, la corona viene bloccata da queste palette durante la rotazione, ma poi con forza si riapre la strada spingendo via l’ostacolo. Dato che le due palette si trovano sullo stesso albero, spingerne via una comporta far tornare l’altra nella posizione di blocco per la corona.

In questo tipo di movimenti non si era in presenza di isocronismo, e il danneggiarsi dei componenti portava ad un errore di circa un’ora al giorno. Ogni giorno veniva perciò regolato manualmente il meccanismo.

Vi consiglio questo video per chiarirvi le idee.

Scappamento a corona e verghe con pendolo di Huygens

Christiaan Huygens, un astrofisico olandese, inventò nel 1656 il primo orologio a pendolo, applicando all’orologeria la teoria dell’isocronismo del pendolo scoperta da Galileo Galilei.
Il pendolo soppiantò così il foliot, permettendo di ottenere orologi dieci volte più precisi rispetto a quelli di prima. Si era infatti riusciti ad ottenere un errore di circa un minuto al giorno.
Nonostante questo netto miglioramento in termini di precisione, persistevano però i problemi legati al rapido deterioramento dei componenti e alla stabilità intrinseca del sistema a verghe.

Scappamento ad ancora

illustrazione britannica.com
illustrazione britannica.com

L’ampia oscillazione del pendolo dettata dagli scappamenti a verghe (più di 30°), faceva sì che non si verificassero sempre condizioni di isocronismo. Si cominciò così a cercare una soluzione per lavorare con oscillazioni inferiori.
Intorno al 1657, lo scienziato inglese Robert Hooke inventò lo scappamento ad ancora. Un componente a forma di ancora, oscillante poiché collegato al pendolo, inserisce le proprie palette tra i denti della ruota di scappamento a intervalli regolari, bloccandone la rotazione.
Con questo scappamento si incrementò notevolmente la precisione degli orologi, riuscendo a lavorare con un angolo di oscillazione di circa 3°-6°.

Se nel 1600 venne introdotta la lancetta dei minuti, questo miglioramento in termini di precisione permise di introdurre addirittura quella dei secondi.
C’era però un difetto di cui questo sistema continuava a soffrire: il pendolo veniva costantemente spinto dalla ruota di scappamento, disturbando così il suo isocronismo. Per questa ragione, lo scappamento ad ancora venne negli anni soppiantato dallo scappamento a riposo negli orologi a pendolo.

Se volete approfondire, date un’occhiata a questo video.

Molla di carica

Nei primi del 1500, un fabbro tedesco di nome Peter Henlein creò il primo orologio che funzionava grazie all’energia di una molla. Questo permetteva di liberarsi dagli ingombranti pesi necessari con il foliot o con il pendolo, aprendo la strada alla creazione di orologi portatili di piccole dimensioni. Nonostante la diminuzione della precisione di questi movimenti quando la molla perdeva la carica, tale invenzione venne apprezzata dalle classi agiate dell’epoca.
Nel 1675, Huygens utilizzò la molla di carica insieme ad un bilanciere a ruota, creando così il sistema che siamo ancora oggi abituati a vedere sulla maggior parte degli orologi meccanici.

illustrazione timezonewatchschool.com
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